Quando l’arte diventa veicolo di “renovatio” sociale. “Il lavoro”nella pittura di John Sutherland etica del lavoro e lavoro dell'etica. L’esiodea “teodicea del lavoro” – peraltro presente intensamente e in forme specifiche anche in un “auctor” dalla profonda moralità quale Virgilio (“omnia vicit labor / improbus”) – è naturalmente e profondamente ripresa e rielaborata in chiave assolutamente laica e assolutamente morale da un artista di cui più volte si è sottolineata la forte “vena etica” (“etica” nel senso di un’Arte che non è “Art for Art’s sake”,
ma è in ogni caso e spontaneamente al “servizio” dell’etica, senza per questo essere costretta a piegarvisi: il parallelo più ovvio e pregnante è quello, in campo letterario, con un autore “etico” come l’Alighieri la cui opera poetica è tutta vivificata, come si sa, dal suo progetto di “renovatio” politico-sociale). L’artista in questione, la cui eticità si riversa naturalmente e senza costrizioni nelle sue tele, è John Sutherland, fondatore del Neogestualismo Esistenziale: è lui, in una serie che solo per ragioni di “scansione tematica” individuiamo come autonoma e distinta dalle altre, a valorizzare enormemente e mediante i suoi peculiari mezzi artistici l’ardua “téchne” e la nobile fatica che sono alla base di ogni attività lavorativa propriamente detta. Valorizzare il lavoro significa, per un artista come Sutherland, valorizzare quel tanto (e quel poco: “poco” in senso assolutamente relativo) che l’uomo può e deve “fare” in una dimensione di operatività al servizio dell’intelligenza e di intelligenza al servizio dell’operatività; “esaltare” il lavoro significa anche aver fiducia nel “progresso” umano (senza peraltro credere nel mito già deprecato da Leopardi delle “magnifiche sorti e progressive”) e speranza concreta di un miglioramento dell’essere umano attraverso e nel lavoro. Il “primato del fare” (che fu teorizzato in maniera incisiva e con toni vibranti dal martire del libero pensiero Giordano Bruno: sua fu l’esaltazione della mano, così ben analizzata e indagata dal prof. Aniello Montano) è al centro di una serie di opere sutherlandiane che delineano con sguardo unitario una delle “forme” del “pensiero creativo” dell’artista, che è quella della valenza etica suprema del lavoro e della fattiva attività dell’essere umano nel suo esistenziale “Da-Sein”. Etica del lavoro e lavoro dell’etica – nel senso di un’etica operante e pertanto “a lavoro” nell’opera artistica sutherlandiana – mirabilmente s’intrecciano in questa sezione peculiare ed efficace della “praxis” dell’artista (prassi non prescindibile dalla sua “teoria”, ossia dal “pensiero creativo”) perché, oltre all’evidente e commossa esaltazione del lavoro in tutte le sue forme ‹si registra finanche “Il rabdomante” (china su cartoncino, cm.30 x 21) tra le “occupazioni” e in senso più generale le “abilities” raffigurate: l’idraulico, il pescatore, il caposala, il domatore di foche, la manager, etc.›, è fortissima la “critica” sociale (critica, beninteso, anche nel suo senso etimologico di “discernimento”, da “krìno”, che vale “distinguo”) che agita queste opere, che vivono di quella valenza etica forte che è la costante massima, direi, dell’originalità – anche artistica, oltre che intellettuale – di John Sutherland. E questo “lavoro dell’etica” o, meglio, quest’“etica a lavoro”, che cioè “agisce” nell’opera sutherlandiana tutta, si applica – nel caso specifico dei lavori considerati – alle problematiche relative al lavoro, trasformandosi in un’“etica del lavoro”, e non solo nel senso di un’esaltazione valoriale della valenza antropologico-morale dell’operatività (“il lavoro nobilita l’uomo”), bensì soprattutto in un altro senso, in un’altra direzionalità, che è quella della denuncia vibrante del “male di vivere” connesso ai brutali sistemi di produzione che ben conosciamo e di cui troppo spesso ignoriamo le profonde negatività nel loro essere coercitivi e lesivi della dignità umana. Soltanto adoperando tali parametri di lettura/decodificazione può essere, a mio avviso, compresa un’opera come “Catena di montaggio” (olio su tela, cm.70 x 100) che raffigura con tonalità estremamente opache il disagio sociale derivante da una disumana organizzazione del profitto (e se si pensa all’importanza del linguaggio cromatico nell’opera sutherlandiana tutta, ben si capisce come il “colore” anche qui sia di per se stesso metafora di un’atmosfera e di una “tonalità” dell’animo). La “fatica del vivere” legata a un’ingiusta strutturazione sociale è ancor più tematizzata nell’ovale del volto de “Il metalmeccanico” (acrilico su tela, cm. 50 x 70), su cui si legge non l’angoscia e la disperazione di un essere vivente, ma l’alienazione finanche priva di sentimenti (anche di quelli di senso negativo) che è tipica di un essere umano cui esistenzialmente è stata negata la qualità di “essere”, divenendo “cosa” quasi non senziente, quasi non vivente. Eguale spirito critico anima un’opera come “Altoforno” (acrilico su masonite, cm.70 x 75), in cui il fuoco che emana dalla macchina industriale, pur collocabile in una zona precisa dell’opera e pertanto della situazione cui si allude, si allarga enormemente mediante l’atmosfera prolungata di riflessi infiammati che quasi sovrastano l’esile figura appena accennata di un operaio, costretto a piegarsi all’indietro, proiezione metaforica di una sottomissione fattuale e mentale ad un sistema di cui il lavorante sembra essere “schiavo” perseguitato, così com’è perseguitato surrealisticamente dalla “lunga fiamma” dell’altoforno l’operaio che emblematizza la dignità mal ripagata dei lavoratori. Discorso a parte merita, non tanto e non solo per merito artistico (è evidente il suo spessore di vero e proprio capolavoro) quanto per la diversità tematica, “La mattanza” (acrilico su tela, cm. 220 x 175) che nelle forme peculiari della “descrittività” gestuale sutherlandiana accenna con toni convulsi e cromie perfette alla cattura del tonno nelle acque marine. Così, il “lavoro” visto nella prospettiva sutherlandiana si carica di una forte valenza etica, diviene il sigillo massimo del patrimonio valoriale insito nell’operatività umana, la concreta testimonianza di una fattività concreta che sola può determinare le sorti del mondo, guidata – però – da un “pensiero” altrettanto concreto e immanente tale da divenire Fatto, Lavoro, Azione. La mente e la mano, come già indicato da Giordano Bruno, possono allora, ma soltanto allora, e cioè quando reciprocamente si integrano, trasformarsi nel lievito operante di una “renovatio” totale che conduca ad un universo per l’appunto rinnovato e radicalmente “altro” da quello attuale, in cui il lavoro possa trovare in tutte le sue forme quella dignità talora perduta e in cui soprattutto a prevalere sia la dignità dell’essere umano. Dignità che il profitto non può cancellare né calpestare. Dignità che dobbiamo tutelare e preservare quotidianamente con forza e convinzione. Dignità che si realizza pienamente soltanto se i diritti fondamentali della vita umana sono pienamente rispettati. E custoditi. Perennemente. Sullo stesso tema vedi anche: “La lampara” (acrilico su su tela,cm.50 x 70); “La luce del contadino” (acrilico su cartoncino, cm.70 x 50); “Pesca d’autunno”(acrilico su tela,cm.100 x 120); “Pesca del tonno”(acrilico su tela, cm.100 x 120); “Pesca di calamari”(olio su tela,cm.70 x 100); “Pescatori al tramonto”(olio su tela,cm.70 x 100); “Rana pescatrice”(olio su tela, cm.70 x 100); “Riflessi di lampara” (olio su tela, cm. 70 x 100); “Venditore di pappagalli” (acrilico su tela, cm.70 x 100); “La luce del contadino” (acrilico su cartoncino,cm.70 x 50); “Fervore in tipografia,(china su cartoncino,cm.30 x 21); “Alla ricerca del corallo nero”,(acrilico su tela, cm.120 x 100);”Il caposala”,(china su cartoncino,cm.50 x 21); “Il domatore di foche (china su cartoncino,cm.30 x 21).(Massimo Colella, quotidiano“Il Golfo”del 29 ottobre 2009, pag. 4, Inserto Arte
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