Napoli: Pomigliano, Autosabotaggio con i soldi dello stato
Con questo bonifico, l’11 marzo 1992, l’allora a.d. della Fiat Cesare Romiti versò a Craxi una mazzetta di 4 miliardi di lire in una banca svizzera (la Banque Internationale Luxembourg). La fotocopia dell’assegno fu recapitata da Craxi (latitante ad Hammamet) allo Slai cobas tramite l’avv. Lo Giudice. Lo Slai cobas consegnò copia del bonifico alla Procura di Torino nell’ambito del processo alla “tangentopoli Fiat” e contribuì in modo determinante alla condanna dell’a.d. Fiat poi confermata da sentenza di Cassazione del 27/11/2009. Una sporca storia di tangenti e fondi neri usati per corrompere politici, governanti e sindacalisti confederali che ha determinato una delle più vergognose privatizzazioni: quella dell’Alfa Romeo regalata da Prodi e Craxi agli Agnelli nel 1986 ed oggi distrutta dal nuovo a.d. fiat Marchionne insieme alla altre fabbriche del gruppo”! “La storia continua”…
IL CASO FIAT: STORIA DI UN AUTOSABOTAGGIO ASSISTITO DALLO STATO Negli ultimi 10 anni della storia industriale della Fiat di Pomigliano d’Arco si è registrato un ciclico e sistemico rincorrersi di implausibili piani industriali annunciati e/o presentati dall’azienda con forte e ricercato impatto mediatico ai sindacati ed alle istituzioni locali e nazionali, sottoscritti e mai realizzati, in una evanescente sequenza in cui il successivo smentiva e annullava il precedente. Tali vicende sono emblematiche delle inquietanti modalità di ristrutturazione e riorganizzazione industriale in uso da decenni nell’intero Gruppo Fiat sempre attuate con aiuti di Stato diretti, indiretti e indotti. Una ristrutturazione <speculativa sin dall’origine> e non casualmente <concepita e strutturata in due fasi>, la prima strategicamente “propedeutica” alla seconda: (1° fase) ingiustificato e “abnorme” raddoppio della capacità produttiva di fatto incompatibile con le realistiche domande contingenti e “di prospettiva” scientificamente desumibili nel tempo rispetto ad ogni ‘ragionata’ proiezione del mercato dell’auto; (2° fase - ai giorni nostri) chiusura-ridimensionamento “di conseguenza” degli impianti in Italia e delocalizzazione produttiva all’estero con inesorabili e progressivi tagli occupazionali di portata inaudita e speculazione finanziaria sui beni pubblici distrutti all’uopo e precedentemente concessi dallo Stato alla Fiat (vedi ad esempio il business-immobiliare sui suoli ex Alfa Romeo di Arese in occasione dell’EXPO 2015 (azienda smantellata dalla Fiat nonostante le garanzie di “tenuta e rilancio” fornite dagli Agnelli all’epoca alle massime autorità competenti dello Stato). Per realizzare i suoi disegni la Fiat negli anni ha da sempre - e paradossalmente - utilizzato la propria posizione dominante nel sistema economico italiano prospettando (in chiave di fatto ricattatoria) gli ingenti danni derivanti all’economia ed al tessuto occupazionale da eventuali delocalizzazioni produttive o chiusure degli stabilimenti per esercitare forti pressioni sulle autorità di governo e sugli attori sindacali, politici, legislativi ed amministrativi al fine di ottenere concessioni favorevoli alla vita industriale del proprio gruppo in termini di vantaggi finanziari, sulla concorrenza e sulle posizioni di mercato. Ma di fatto gli anni hanno dimostrato che gli ingenti finanziamenti pubblici richiesti dalla Fiat sono stati “impropriamente usati” dall’azienda proprio per delocalizzare, ridimensionare e smantellare i siti produttivi stravolgendo di fatto le motivazioni precedentemente addotte per la fruizione degli aiuti di Stato. E’ utile inoltre ricordare, a questo punto, che la Fiat, con l’acquisizione/svendita del gruppo Alfa Romeo concessagli a fine 1986, da oltre 26 anni gode tra l’altro del monopolio della produzione automobilistica in Italia. Il fatto è che non sempre l’esercizio di queste “leve di posizione” appare essere consentito senza limiti. In più occasioni la concessione di vantaggi economici e concorrenziali da parte delle autorità amministrative si è condensata nella stipulazione di accordi con il gruppo industriale, ove quest’ultimo si impegnava a mantenere obiettivi occupazionali ovvero ad effettuare precisi investimenti produttivi e di sviluppo. Nei casi che vedremo questi impegni sono stati del tutto e palesemente disattesi e le obbligazioni non adempiute e vi sono elementi che paiono dimostrare che la Fiat non avesse, fin dall’inizio, l’intenzione di adempiere a tali obbligazioni mirando così esclusivamente all’ottenimento di “quel” vantaggio patrimoniale e considerando come indifferente il raggiungimento o meno degli obiettivi industriali (strumentalmente) dati. A tal proposito, vista la <reiterazione in progress> strutturata in cadenza e negli anni di tali comportamenti organizzati in un <unico disegno organico> e relativo alle politiche industriali e finanziarie dell’intero gruppo Fiat e dell’insieme sostanziale delle sue varie articolazioni e derivazioni sarebbe importante svolgere, tra altro, adeguati accertamenti non solo sui singoli stabilimenti separati tra loro ma sulla correlazione tra i singoli interventi e l’insieme degli atti relativi all’intero processo di ristrutturazione realizzato nel tempo e riferito all’intero gruppo Fiat, nonché sulla predisposizione di adeguati mezzi finanziari ed industriali da parte del gruppo in vista della firma di quegli accordi. Ciò anche allo scopo di verificare se la Fiat abbia contratto tali obbligazioni col proposito di adempierle o, in caso contrario, abbia ritenuto di non preoccuparsi della programmazione delle attività e degli investimenti necessari, proprio col proposito di non adempiere o di ritenerne indifferente l’adempimento o meno. Il fatto è che la Fiat ha sempre disatteso tutti i solenni e formali impegni contratti a “garanzia sociale” e di tenuta e rilancio industriale e occupazionale nonostante la specifica e collegata fruizione negli anni di ingenti finanziamenti pubblici diretti, indiretti ed indotti cui non è mai seguito alcun ritorno alla collettività del corrispettivo economico investito dallo Stato in termini di utilità, valori e fini sociali. Fiat Pomigliano - 24 aprile 2003 Piano quinquennale 2003/2007 di rilancio dell’Alfa Romeo (disatteso) Siglato il 24 aprile 2003 in sede Unione Industriale di Napoli tra Fiat Auto spa e FIM-FIOM-UILM-FISMIC di Napoli e Campania l’accordo analizzando <il contesto in cui opera l’industria automobilistica risulta caratterizzato da una sempre maggiore competitività tra aziende costruttrici e da un mercato sempre più esigente e complesso in cui tutti i grandi costruttori sono impegnati su diversi versanti per realizzare le condizioni necessarie al miglioramento della competitività aziendale ed al successo dei propri marchi nei diversi mercati> stabiliva <nell’arco del periodo 2003/2007, il piano di rinnovo della gamma dei modelli Alfa Romeo, la produzione delle vetture dei segmenti “C” e “D” del marchio, nonché quella collegata all’evoluzione delle stesse nell’ambito delle c.d. “specialities” e, per il 2007, il ritorno sul mercato degli Stati Uniti. In tale quadro è stato previsto il piano di investimenti che, nell’ambito del più complessivo programma di interventi per il rilancio del settore auto prevede, per la sola Business Unit Alfa Romeo, iniziative finalizzate alla ricerca, sviluppo, innovazione ed ingegnerizzazione dei nuovi prodotti nell’ordine di circa 500 milioni di EURO all’anno nell’arco del periodo 2003 – 2007...tale piano potrà essere oggetto di uno specifico Contratto di Programma con le istituzioni competenti a livelli ministeriale e regionale… Il piano stesso, indirettamente, avrà poi l’effetto di stimolare in modo positivo il complesso, e fortemente integrato, sistema dei fornitori che si è andato consolidando nel tempo, creando i presupposti per un ulteriore sviluppo degli stessi nell’area >. Fiat Pomigliano - 4 dicembre 2007 - annuncio di un nuovo piano di ristrutturazione il 4 dicembre 2007 - smentendo il precedente piano quinquennale 2003/2007 Fiat per Pomigliano l’a.d. Fiat Sergio Marchionne annunciò all’allora presidente del consiglio Romano Prodi e ai responsabili nazionali di CISL, CGIL e UIL Bonanni, Epifani ed Angeletti, un nuovo “piano straordinario per il rilancio industriale dello stabilimento di Pomigliano d’Arco” contemplante la prospettata chiusura per 2 mesi della fabbrica per ristrutturazione e adeguamento tecnologico agli standard di qualità degli altri impianti Fiat finalizzato per costruire i futuri modelli, e corsi di formazione per gli oltre 5.000 addetti; investimenti tecnologici per 70 milioni di euro (sic) per “garantire prospettive di continuità e sviluppo per competere entro il 2008 con la concorrenza internazionale”. Fiat Pomigliano - 5 maggio 2008 - Polo Logistico di Eccellenza (sic) di Nola (da 5 anni in cigs alcuna credibile missione industriale con un nuovo anno di cigs richiesto oggi dalla Fiat) A detta dell’a.d. Fiat il “Reparto-Confino” (così definito dai 316 lavoratori lì ‘deportativi’, tra sindacalizzati o con ridotte capacità lavorative per evidenti patologie professionali) avrebbe dovuto “servire la logistica Fiat di tutto il centro-sud a partire dal triangolo industriale di Pomigliano, Cassino e Melfi”. I fatti si commentano da soli: da ben 5 anni al sito di Nola non esiste alcuna “attività logistica” e 300 addetti sono da anni in cassa integrazione senza soluzione di continuità ed alcuna realistica prospettiva futura. Nemmeno le operazioni di logistica per la produzione delle vetture Panda (ancora dimezzata rispetto alle ‘previsioni’ dell’a.d. di 280.000 unità/anno) è svolta a Nola: si pensi all’assurdità produttiva di far transitare i camion con i rifornimenti di materiale destinati alla produzione di Pomigliano da contabilizzare, non come sempre fatto ed ovvio all’accettazione di stabilimento, ma in una sede distante circa 20 km, per poi far proseguire i camion stessi per lo stabilimento di Pomigliano! Fiat Pomigliano: 27 maggio 2008 - avvio in settembre della produzione della Bravo (mai avvenuta) Il 27 maggio 2008 la Fiat comunicava a FIM, FIOM, UILM e FISMIC nazionali (come da verbale di riunione sottoscritto tra le parti in pari data) lo “stato di avanzamento del piano a Pomigliano” e gli “interventi tecnico-impiantistici ed organizzativi da effettuare in verniciatura e montaggio per l’avvio della produzione della Fiat Bravo a partire dal settembre 2008” (anche questo “piano” non è mai stato realizzato). In tale riunione la Fiat ha inoltre “illustrato le motivazioni dell’acquisizione aziendale delle attività di movimentazione componentistica all’interno dello stabilimento” finalizzate alla realizzazione di un “progetto di riorganizzazione dei servizi logistici (aree ricevimento materiali, scarico/carico automezzi, stoccaggio magazzino, chiamata materiali ed alimentazione delle linee)”. Va ricordato che 9 anni prima, il 14 ottobre 1999, le richiamate attività di “servizi logistici”, con i 680 lavoratori adibiti, erano state esternalizzate dalla Fiat all’azienda LOGINT mediante cessione di ramo d’azienda. La vicenda delle “terziarizzazioni a macchia d’olio”, e delle successive reinternalizzazioni della prevalenza delle lavorazioni non direttamente collegate alla catena di montaggio è un consistente fenomeno collaterale alla ristrutturazione Fiat (e da questa abilmente pilotato) e sarà approfondito nelle pagine successive. Fiat Pomigliano: 8 giugno 2010 - la Panda - ancora produzione dimezzata rispetto all’annunciata Nell’accordo dell’8 giugno 2010 siglato tra Fiat Group Automobiles (assistita da Unione Industriale di Torino e Napoli) e FIM, FIOM, UILM e FISMIC nazionali e di Napoli si cita che, “la grave situazione economica le sue pesanti ricadute sul settore auto ed in particolare su Pomigliano per il quale si è reso necessario nel 2009 il ricorso a circa 6 milioni di ore di cassa integrazione e per il quale si è verificato un ulteriore aggravamento delle situazione dei primi 5 mesi del 2010. Con riferimento al Piano illustrato dall’azienda nella riunione del 30 marzo 2010 presso il Ministero dello Sviluppo Economico nell’incontro con le OO.SS. e ai successivi incontri del 9 aprile e del 4 maggio presso Unione Industriali Napoli e del 21 aprile presso la sede del Lingotto, nonché i successivi incontri del 12, 13 e 14 maggio e 4 giugno, le organizzazioni sindacali condividono gli obiettivi del progetto finalizzati a rafforzare la posizione strategica in Italia con l’avvio della futura Panda presso lo stabilimento di Pomigliano e assicurare la continuità della presenza industriale sul territorio con il conseguente impatto positivo sul sistema industriale locale”…”Il radicale intervento di ristrutturazione presuppone il riconoscimento delle cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione per due anni dall’avvio degli investimenti”… “non potranno essere adottati meccanismi di rotazione tra i lavoratori”. Audizione 15 febbraio 2011 comm. Attività Produttive Camera: il nuovo ‘piano’ di Marchionne (anche questo mai realizzato) Estratto dal resoconto Camera: …”all’Italia abbiamo destinato 20 miliardi di euro di cui 4 a Fiat industrial e il resto, pari a 16 miliardi, per Fiat spa: il 65% per Fiat Group Automobiles, il 15% per i marchi di lusso e il 20% per motori e componentistica””…”quattro anni fa è stato varato un piano senza precedenti del sito di Pomigliano ma non è stato sufficiente a garantire la saturazione dell’impianto”…”per questo vi abbiamo deciso di costruire la futura Panda il che, nel giro di qualche anno, sfruttando la ripresa del mercato, ci permetterà di arrivare oltre la soglia delle 250.000 auto prodotte”…”l’obiettivo di Fabbrica Italia è quello di incrementare gradualmente i volumi di produzione nei nostri impianti italiani arrivando nel 2014 alle 1.400.000 unità, più del doppio rispetto alle 650.000 prodotte nel 2009. L’aumento è ancor più significativo se lo confrontiamo con un anno disastroso come il 2010 quando siamo arrivati ad appena 561.000 vetture. A questo va aggiunta la produzione veicoli commerciali leggeri, il cui obiettivo è quello di arrivare a 250.000 unità annue, rispetto alle 150.000 del 2009 ed alle 190.000 del 1010. In totale, il piano di Fabbrica Italia è quello di raggiungere nel nostro paese la produzione di 1.650.000 veicoli nel 2014”…”L’obiettivo è di produrre in Italia, entro il 2014, oltre un milione di veicoli destinati all’esportazione, di cui circa 300.000 al mercato statunitense. La percentuale delle esportazioni crescerà quindi dal 50% dell’anno scorso al 65% nel 2014. Questo piano rappresenta una grande opportunità per creare nuovi posti di lavoro in Italia e aumentare i salari” Fiat Pomigliano 16 giugno 2011 - cigs per Cessazione dell’attività di FGA ceduta a Fabbrica Italia L’ennesimo Piano Industriale del gruppo Fiat, già presentato il 22 dicembre 2009 a Palazzo Chigi alla presenza di rappresentanti istituzionali e dei sindacati confederali, annunciava la possibilità di realizzare a Pomigliano la produzione della nuova Panda. In tal senso il 15 giugno 2010 Fiat Group Automobiles spa (da ora FGA) sottoscriveva un’intesa con FIM, UILM, FISMIC e UGL. Il 9 luglio 2010 le parti firmatarie della citata intesa convenivano che la fabbricazione del modello della nuova Panda non sarebbe stata attuata da FGA ma da una società di nuova costituzione denominata Fabbrica Italia Pomigliano spa (da ora FIP), società quest’ultima che avrebbe realizzato gli investimenti relativi agli impianti produttivi per la fabbricazione del modello Panda… ”l’indicata situazione crea le premesse”… dichiara FGA con comunicazione del 16 giugno 2011…”per il progressivo disimpegno di FGA dalle attività produttive e organizzative funzionali alle fasi di fabbricazione veicolistica, con conseguente cessazione di attività, nella locuzione di cui al DL 249/2004 convertito in legge 291/2004 e alle successive interpretazioni di carattere amministrativo, tale da motivare l’istanza di ricorso alla CIGS (per detta casuale, dal 15 luglio 2011 e fino al 14 luglio 2013, quale coerente strumento di sostegno al reddito per il personale (sino a un massimo di 4367 lavoratori) della sede di Pomigliano d’Arco dello stabilimento G. Vico”…” si precisa inoltre, ai fini dei criteri di scelta che tale cigs si colloca successivamente ai precedenti periodi di cassa integrazione ordinaria (da settembre 2008 a novembre 2009) adottati quale misura per fronteggiare la crisi economica-finanziaria originatasi nel 2008; alla cigs (dal 16 novembre 2009 al 14 novembre 2010) per crisi aziendale per evento improvviso e imprevisto; alla cassa integrazione in deroga dal 15 novembre 2010 al 14 luglio 2011. Con accordo sindacale l’azienda si impegnava ad assumere in FIP entro il 13 luglio 2013 tutti i lavoratori FGA in cigs. Tale impegno, su iniziativa di Slai cobas, è stato inoltre sancito dal Tribunale di Torino che, nella successiva motivazione di sentenza della decisione del 13 luglio 2012, stabiliva, per tutto il personale di FGA Pomigliano..”la graduale ricollocazione di tutto il personale presso Fabbrica Italia Pomigliano con scadenza al 14 luglio 2013”. Fiat Pomigliano 1° febbraio 2013: scompare Fabbrica Italia e riappare FGA - ancora cigs Come volevasi dimostrare: con comunicazione del 1° febbraio 2013 la Fiat avvia una nuova procedura di cigs per l’ennesima “pseudo riorganizzazione aziendale”. Ed ecco che scompare Fabbrica Italia Pomigliano e… riappare Fiat Group Automobiles! …”L’ampio processo di razionalizzazione societaria in corso ad opera di FGA ha determinato quest’ultima ad acquisire con effetto dal 1° marzo 2013 il complesso aziendale di Fabbrica Italia Pomigliano”…”vengono meno i presupposti della cessazione dell’attività di FGA Pomigliano rendendosi tuttavia necessario un articolato programma di riorganizzazione che interesserà tutte le aree di detta sede”…”la realizzazione del piano richiede il ricorso alla cigs per il periodo dal 1° marzo 2013 al 31 marzo 2014”…”il personale interessato dall’ammortizzatore sociale, in relazione alla prevista acquisizione di Fabbrica Italia Pomigliano risulterebbe complessivamente di 4.515 lavoratori”. Il tutto con modalità rotazione tra ‘cigs e lavoro’ fortemente diversificate tra gli addetti ex FIP (realmente adibiti in produzione) e quelli FGA (ancora tagliati fuori dal reale ciclo produttivo e richiamati per brevi periodi di lavoro “pro-forme” e indiretto). Il prototipo di “Fabbrica Italia” quale paradigma del disimpegno industriale del gruppo Fiat Con i relativi e richiamati piani presentati dalla Fiat ai vari livelli istituzionali e le collegate intese sindacali la Fiat, a partire da Pomigliano. lancia il progetto di “Fabbrica Italia” previsto in progressione per tutte le fabbriche italiane di auto del gruppo. La costituzione di Fabbrica Italia Pomigliano (poi ancora annullata dall’azienda come tutti i precedenti “piani”) ha comunque il merito di <visibilizzare> il senso del vero progetto strategico di “dimagrimento industriale” in Italia della Fiat prospettante il sostanziale disimpegno produttivo del gruppo con prevalenti strategie organizzative sostitutive di quelle industriali e la manifesta volontà di trasformazione progettuale, commerciale e “di servizio”, nonché finanziaria, di FGA tramite lo scorporo presso nuove aziende (le newCo) delle attività funzionali alla fabbricazione autoveicolare e realizzare così un forte “ridimensionamento pilotato” del gruppo (oggi in atto) e conseguente la volontà di riadeguare i bilanciamenti produttivi internazionali (a discapito di quelli italiani) in funzione della nuove esigenze di allocazione produttiva della multinazionale Chrysler Fiat. Questo il senso oggettivo dell’avvio di Fabbrica Italia Pomigliano realizzata con forma societaria autonoma e separata e, di fatto, “prototipo” della ristrutturazione di FGA collegata alla casa madre da “contratto di rete”. Ciò anche al fine di operare senza alcun vincolo (all’interno delle nuove logiche da off-schore del diritto del lavoro) né legame con associazioni datoriali e applicare contratti collettivi specifici destinati a de-regolamentare il nuovo rapporto di lavoro degli assunti ex novo, tutti preventivamente selezionati dal “vincolo contrattuale di accettazione” dell’accordo sindacale di Pomigliano del 15/6/2010”. Particolare ‘pericolosità sociale’ della strategia Fiat è data dalla prospettiva di dimezzamento occupazionale negli stabilimenti italiani di FGA: a Pomigliano appena il 50% degli oltre 5.000 addetti interessati è stato reintegrato in FIP (e successivamente in FGA) con la permanenza da anni in cassa integrazione senza sbocchi di altrettanti lavoratori. Prospettando la definizione di programmi produttivi alle newCo di Fabbrica Italia, l’ad. Fiat Sergio Marchionne ha inoltre confezionato l’ennesimo “escamotage” utile a “rimandare nel tempo” l’esigenza della presentazione di attendibili e realistici Piani Industriali, gli unici atti a garantire il rientro dalla cassa integrazione della moltitudine di addetti da anni tagliati fuori dal processo produttivo degli stabilimenti italiani. Andamento dell’occupazione in Fiat Auto dal 1979 al 2012 (tra chiusure, delocalizzazioni, dismissioni, smantellamento impiantistico, cessione rami d’azienda, licenziamenti, pensionamenti e turn-over non rimpiazzato): Fiat: settemiliardi e seicento milioni di euro per tagliare 147.000 posti di lavoro Sono ben 147.100 i tagli occupazionali prodotti dalla Fiat negli ultimi 34 anni. Si tratta di una vera e propria “strage” di posti di lavoro: nel 1979 Fiat Auto spa contava 135.000 addetti negli stabilimenti italiani cui ( dal 1986) vanno aggiunti i 34.000 addetti del Gruppo Alfa Romeo (all’epoca svenduto a quattro soldi dall’IRI alla Fiat) per un totale complessivo di 169.000 addetti. Tra il 1979 ed il 1991 sono stati espulsi dal ciclo produttivo 70.500 lavoratori. Intanto la Fiat già procedeva alla chiusura di interi stabilimenti tra i quali Lancia (Chivasso), Alfa Romeo (Portello), Autobianchi (Desio), Maserati (Lambrate), Sevel Campania (Pomigliano), Somepra (Avellino), Meccaniche (Pomigliano) seguiti negli anni dall’Alfa Romeo di Arese ed in ultimo e tra altri dagli impianti di Termini Imerese. La situazione occupazionale di Fiat Auto (aggiornata ai dati del 15 luglio 2012) registra 21.900 dipendenti negli impianti produttivi italiani, al netto degli ex addetti stabilimenti Powertrain solo successivamente assorbiti in FGA. Ad oggi la situazione occupazionale è ancora ulteriormente decurtata ed il futuro prospettato, alla luce dei fatti, non fa ben sperare… tenuto conto che gli impianti ‘superstiti’ sono in cassa integrazione e mancanti di verosimili e realistici piani industriali considerato che quelli ‘alla Marchionne’ sono realizzati solo sulla carta dei giornali e nelle televisioni. Sono ben 7,6 miliardi di euro i finanziamenti di Stato ricevuti dalla Fiat dal 1977 al 2012 (fonte Cgia Mestre). Una media di circa 217 milioni di euro all’anno di aiuti di Stato fruiti dalla Fiat per “piani industriali di tenuta e rilancio industriale”, mai realizzati e di fatto usati per finalità opposte a quelle dichiarate. Ciò ad esclusione dell’ammontare economico della cassa integrazione e dei contratti approvati da CIPE nel biennio 2010/2011. E’ fondato credere che tali ingenti benefit economici sono solo la punta dell’iceberg degli ‘aiuti di Stato a perdere’ erogati nei decenni in mille e consistenti rivoli dai vari livelli istituzionali ed europei La Fiat non ha mai rispettato gli impegni presi: ha distrutto il gruppo Alfa Romeo dopo averlo avuto ‘regalato’ dallo Stato Il 7/11/1986 la delibera CIPI riportava la garanzia che la Fiat, a firma Romiti, aveva dato al governo Craxi per ottenere l’acquisto del gruppo Alfa Romeo: mantenimento dell’identità aziendale, valorizzazione sul mercato del marchio Alfa Romeo, difesa delle capacità tecniche e progettuali, mantenimento della capacità produttiva basata sulla potenzialità di Arese e Pomigliano, volumi di investimenti adeguati. Contemporaneamente la Fiat presentava un progetto che prevedeva: la fusione del gruppo Alfa con la Lancia, un investimento di 5.000 miliardi in 5 anni (1987/1991), una gamma di nuove produzioni per Arese e Pomigliano, la nuova società Alfa Lancia avrebbe occupato 37.000 dipendenti (28.000 Alfa e 9.000 Lancia). Come compenso a questi impegni veniva concesso alla Fiat di pagare una cifra irrisoria: 1.050 miliardi di lire per l’intero gruppo Alfa Romeo, comprendente 4 stabilimenti (Arese, Portello, Livorno e Pomigliano) e numerose filiali. Importo da versare in 5 rate annuali senza interessi a partire dall’1 gennaio 1993 (ben 6 anni dopo l’acquisto) a un conseguente valore reale ridotto così a circa 400 miliardi di lire. La Fiat, dopo solo 3 anni scioglie il gruppo Alfa lancia, creato per risparmiare tasse sugli utili della Lancia. Anche la Maserati, l’Autobianchi di Desio e Chivasso sono state poi chiuse per fare posto a Melfi. A questo punti gli occupati Alfa sono stati ridotti a poco più di 11.000 (3.000 ad Arese ed 8.000 a Pomigliano). Oggi Arese è chiuso e Pomigliano conta 4.515 addetti (stando alle dichiarazioni Fiat del 22 giugno 2013). Di questi 2.143 addetti alla produzione Panda e la prevalenza degli altri in cigs di lunga durata e senza utili sbocchi. L’Alfa Romeo è stata svenduta alla Fiat per un “piatto di lenticchie” ed il Lingotto l’ha prima cannibalizzata e poi distrutta. Per fare un paragone del reale valore economico del gruppo Alfa Romeo basta considerare che gli impianti Fiat di Melfi e Pratola Serra sono costati allo Stato, per la loro realizzazione (tra il 1990 ed il 1995) la bellezza di 1miliardo e 280 milioni di euro ! Ma questo ancora non basta allo Stato che, ad Arese, rifinanzia la “bufala” della produzione delle vetture a ridotto impatto ambientale con altri 333 miliardi e 740 milioni di lire: ne furono prodotte 221 ed ognuna di loro costò oltre un miliardo! Col finto ‘piano quinquennale 2003/2007 per il rilancio della produzione Alfa Romeo nello stabilimento di Pomigliano d’Arco la Fiat ha distrutto definitivamente lo Stabilimento di Arese con un contemporaneo e finto accordo per la creazione del “Polo della mobilità sostenibile” siglato il 27 febbraio 2003 tra Fiat, sindacati confederali dei metalmeccanici, Regione Lombardia e Provincia, nonché dai comuni interessati di Arese, Garbagnate, Rho e Lainate. Così la produzione di auto dà l’addio definitivo all’Alfa di Arese ed è trasferita (ma solo e sempre sulla carta) a Pomigliano. Su Arese da tempo incombeva il progetto-fantasma per l’insediamento, nelle aree dismesse dell’Alfa, di effimere “strutture di ricerca per sistemi di mobilità urbana alternativa”. Già 9 anni prima nasceva ad Arese il Consorzio per la progettazione e lo sviluppo delle vetture “a ridotto impatto ambientale con l’accordo del 20 gennaio 1994 tra Fiat e Governo. Il primo marzo dello stesso anno viene stipulato un “protocollo d’intenti” per iniziative industriali in campo ambientale tra Presidenza del Consiglio, ministri competenti e Fiat con l’impegno di quest’ultima a realizzare negli impianti di Arese una vettura elettrica entro il 1996, un’altra di seconda generazione nel 1999, più una vettura “ibrida” (benzina /elettrica). Dopo il protocollo d’intenti si stipula l’accordo di programma firmato in data 31/7/96 tra Fiat e Governo che prevedeva la produzione della vettura elettrica di prima generazione entro il primo aprile del 98 (produzione prevista a regime 1.000 auto/anno), e della vettura “ibrida” entro ottobre 98 (produzione prevista a regime 500 vetture/anno): per dare corpo all’operazione viene costituito in Consorzio di Ricerca con sede ad Arese presso la “piattaforma VAMIA”. Il Consorzio è controllato a maggioranza da Fiat Auto. Lo scopo è realizzare un Polo Nazionale di riferimento per le attività di ricerca e innovazione di veicoli a basso impatto ambientale (elettrici, ibridi e a metano). Tra le clausole vi è la possibilità di scioglimento del Consorzio se lo stesso non riceve i finanziamenti per la ricerca sui veicoli di seconda generazione entro il 31/12/97. I costi del programma sono definiti nell’art. 5 in 401 miliardi e 585 milioni di lire di cui 238 miliardi e 740 milioni finanziati dalla Stato ed erogati in 2 tronconi nel 1996 e 1999. Il 26/6/97 al Ministero del Lavoro viene firmato l’accordo per la cassa integrazione speciale e la mobilità ad Arese: il documento recepisce i precedenti accordi di programma: oltre i fondi già previsti il governo si impegna a incentivare la domanda con un ulteriore finanziamento ai comuni fino a 95 miliardi di lire. Intanto, tra il 1998 e il febbraio 2000 la Fiat ha concretamente prodotto appena 221 vetture a fronte delle 2000 previste incassando dallo Stato un finanziamento per complessivi 238 miliardi e 740 milioni di lire: ogni vettura è praticamente costata in finanziamenti pubblici l’iperbolica cifra di oltre un miliardo di lire ! Queste sono briciole: l’<osso> del business di Arese è dato dalla speculazione immobiliare Intanto, con la vendita di qualche capannone di Arese la Fiat ha ricavato 1.040 miliardi di lire: con una cifra simile (1050 miliardi - distribuiti in 5 rate e pagati a meno della metà in potere d’acauisto reale) la Fiat ha “comprato” dallo Stato l’intero gruppo Alfa Romeo (Pomigliano, Arese, Portello, Livorno e Pratola Serra, con il “marchio” e decine di filiali): Il solo valore economico dei suoli dell’ex Alfa Romeo di Arese (2.350.000 mq per un valore all’epoca calcolato in un 1.000.000 di lire al mq) ammonta a circa 2.350 miliardi di lire (ciò senza contare la successiva rivalutazione dei suoli data dall’ EXPO 2015!). Quanto ha guadagnato la Fiat per tutto il l’<ambaradan speculativo-immobiliare> sui duemilioni e rotti di metri quadrati dell’Alfa Romeo di Arese considerato che solo per la vendita alla “Aedes” degli edifici del Centro Tecnico e del Centro Direzionale ha ricavato 640 miliardi di lire, e per una parte dei capannoni del CRAA, venduti dalla SIFI all’immobiliare “Estate 6” ha ricavato 400 miliardi di lire? A questo punto possiamo ben dire che in questi decenni mai alcun impegno preso dalla Fiat e relativo alla fruizione di ingenti finanziamenti pubblici è stato rispettato Il fatto è che, a differenza dei piani industriali annunciati all’evidente scopo di “battere cassa allo Stato”, i veri piani Fiat vengono da lontano: tra gli inizi e la prima metà degli anni ’90, a fronte di un acclarato sovradimensionamento della capacità produttiva del gruppo a fronte dell’assorbimento del mercato, la Fiat Auto, sempre con la contemporanea fruizione di ingenti finanziamenti pubblici, ristrutturava e produceva all’estero i modelli Palio e Duna (Brasile), nuova 500 e 600 (Polonia), costruiva - in una fase di mercato notoriamente stagnante e recessiva - i nuovi stabilimenti di Melfi (la SATA: con capacità produttiva di 450.000 vetture/anno - risulterebbe che all’epoca, in sede CEE, la Fiat per giustificare come legittimi i contributi ricevuti dallo Stato per la costruzione dello stabilimento abbia dato garanzia che il livello produttivo del gruppo non sarebbe sostanzialmente aumentato) e Pratola Serra (la FMA con capacità produttiva di 750.000 motori/anno). Con le predette operazioni la Fiat portò la capacità produttiva del gruppo a 3 milioni di vetture/anno (adducendo previsioni quantomeno “di comodo” sulle richieste di mercato) per attestarsi poi, invece, su una produzione reale inferiore di oltre il 50% già nel 1994, per poi organizzare la vorticosa spirale di chiusura/dismissioni/svendita speculativa/delocalizzazione di impianti, macchinari, strutture e suoli industriali ancora oggi in atto all’interno di uno <strutturale processo di ristrutturazione infinita> consapevolmente e sempre esulante da alcuna seria e realistica prospettiva (benché minima) di tenuta e sviluppo tecnologico ed occupazionale. Un’azienda, la Fiat, che in questi decenni ha di fatto ed impropriamente usato miliardi di euro di finanziamento pubblico generosamente erogatigli dallo Stato per decimare i livelli occupazionali, polverizzare esperienze professionali, precarizzare il lavoro e la vita degli addetti, annientare ogni parvenza di democrazia sindacale. Ciò mentre i maggiori gruppi automobilistici in Europa e nel mondo, a fronte di un mercato dell’auto maturo, saturo e stabilizzato, hanno puntato invece su forti investimenti sostenuti in ricerca ed innovazione tecnologica e capacità produttive dimensionate alle reali richieste di mercato. Il bonifico in copertina del presente dossier rappresenta la sintesi maxima delle modalità corruttive usate in Fiat. Una sporca storia di tangenti e fondi neri per corrompere istituzioni, politici, governanti e sindacalisti confederali e fatta emergere da 150 operai delle fabbriche Fiat dello Slai cobas che “misero alla sbarra l’a.d. dell’epoca, Cesare Romiti, e il vicepresidente esecutivo e direttore finanziario Francesco Paolo Mattioli. Con sentenza del 28/5 - 15/7/99 la Corte d’Appello di Torino affermava la penale responsabilità dei due supermanager Fiat in relazione al reato di falso nei bilanci consolidati e nelle relazioni accompagnatorie della Fiat spa, al reato di finanziamento illecito ai partiti politica, nonché per la violazione fiscale di cui all’art. 4 lettera e) l. 516/82. Con la medisima sentenza Romiti e Mattioli furono inoltre condannati, in solido, al risarcimento dei danni in favore degli operai costituitisi parti civili. Con sentenza pronunciata il 19/10/2000 la Corte di Cassazione ha confermato la menzionata pronuncia in ordine al risarcimento alle parti civili dei danni patrimoniali e morali subiti a seguito dei fatti per i quali è intervenuta condanna. Nelle citate vicende processuali i giudici, in sintesi, hanno accertato che, nel periodo 1988-1989-1990-1991, i bilanci consolidati delle holding Fiat sono stati falsificati e la illecita costituzione di “fondi neri”, ovvero di ricchezze non inserite nel bilancio ha comportato una rappresentazione “impoverita” dell’andamento aziendale. Inoltre, nel procedimento penale sopra ricordato, gli stessi consulenti del PM hanno affermato che “il peso di molte di queste zone economiche (i fondi neri ndr) è sconosciuto ed insuscettibile di controllo” ed ancora “soltanto di una piccola parte è stato possibile visualizzare i flussi”, riconoscendo l’esistenza di un illecito difficilmente quantificabile ma di gran lunga superiore all’illecito accertato. Uno “spaccato di dettaglio” della cessione-svendita dell’Alfa Romeo alla Fiat (atti Camera) XIII Legislatura della repubblica italiana INTERPELLANZA 2.00112 presentata da MALAVENDA ASSUNTA (MISTO) in data 07.11.1996
Non-concluso I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere - premesso che agli interpellanti risultano i seguenti fatti: nel 1986 IRI e Finmeccanica hanno deciso di procedere alla vendita della società Alfa Romeo per farla uscire dal sistema delle partecipazioni statali, in quanto il settore auto non era più considerato strategico; la Ford e la Fiat si dichiararono interessate all'acquisto e i rispettivi rappresentanti, Peterson per la Ford e Agnelli e Romiti per la Fiat, furono ricevuti all'allora Presidente del Consiglio, onorevole Bettino Craxi, e Mattioli e Annibaldi della Fiat furono ricevuti dai vertici della Democrazia Cristiana; dai giornali dell'epoca (il Manifesto del 17 ottobre 1986, il Giorno del 26 ottobre 1986) risulta chiaramente che il Governo sia intervenuto sulla vendita attribuendosi la decisione finale; la Fiat acquistò l'Alfa (allora era un gruppo industriale con 34.000 dipendenti con marchio ancora prestigioso e stabilimenti in tutta Italia) al prezzo di 1.072.050.000.000, dilazionati in cinque rate senza interessi a partire da gennaio 1993; la Fiat, pur di entrare in possesso dell'Alfa Romeo, avrebbe versato il doppio della proposta Ford, che ammontava a 3.300 miliardi (la Repubblica del 25 novembre 1986); l'offerta Fiat prevedeva il risanamento e il rilancio dell'Alfa Romeo con la creazione di una nuova società che accorpasse l'Alfa Romeo, l'Autobianchi e la Lancia per diventare il maggior produttore europeo di vetture di qualità. Con un rinnovo della gamma entro il 1990, la produzione avrebbe raggiunto le 620 mila vetture l'anno. Nello stabilimento Alfa di Arese la produzione avrebbe dovuto raggiungere le 153 mila auto tra Lancia Thema e Alfa 164; la proposta conteneva anche l'impegno a rinnovare il prodotto Alfa Romeo entro il 1990 (nuova 33, nuova 75, la 164, nuova vettura spider e coupè, un fuoristrada e un'auto familiare - queste ultime due prodotte ad Arese); gli investimenti per il quinquennio erano previsti in oltre cinquemila miliardi; il Cipi, il Governo, il Ministro pro tempore delle partecipazioni statali e tutti gli organi preposti nel 1986 hanno individuato nella Fiat l'acquirente che ha avanzato le proposte preferibili per l'acquisto dell'Alfa Romeo: infatti si sarebbe garantito il mantenimento della identità aziendale, la valorizzazione del marchio Alfa e della maggior parte dei suoi modelli, la difesa delle capacità tecniche e progettuali aziendali, il mantenimento della struttura produttiva, basata in particolare modo sulla potenzialità dei due stabilimenti di Arese e Pomigliano d'Arco, e volumi di investimenti adeguati agli obiettivi indicati. Inoltre, nella delibera del Cipi del 7 novembre 1986 ci si riferisce espressamente agli "impegni assunti dal gruppo Fiat in ordine alla miglior tutela dell'occupazione"; la Miru nel 1987 (Motor industry research unit) pubblicò un rapporto in cui affermava, dopo una propria analisi economica, che l'offerta Ford era da considerarsi più vantaggiosa; dei cinquemila miliardi di investimenti previsti per la nuova società Alfa Lancia, dei quali il 75 per cento doveva essere speso per rimodernare il settore Alfa, sarebbero stati erogati per tali settori e in sei anni solo 1712, nonostante un contributo di 1796 miliardi che sarebbe stato fornito dallo Stato per l'innovazione e la industrializzazione delle Alfa 33, 75, 164; nel settembre 1991 l'Alfa Lancia è stata incorporata in Fiat Auto spa; nel triennio 1992-1994 la Fiat ha nel frattempo chiuso gli stabilimenti della Lancia di Chivasso, l'Autobianchi di Desio, la Maserati di Lambrate, la Sevel Campania di Pomigliano; oggi è certa la chiusura di Arese ed è in atto lo smantellamento di Pomigliano; all'Alfa Romeo di Arese il 27 giugno 1994 sono stati licenziati ben 2.800 lavoratori con mobilità e prepensionamenti. Il 29 dicembre 1995 sono stati licenziati altri 945 operai con mobilità e prepensionamenti, mentre un accordo sindacale precedente, sottoscritto nel febbraio 1994, impegnava la Fiat a non ridurre i livelli occupazionali fino al giugno 1996. A dicembre 1995 tale accordo è stato rinegoziato prevedendo 1.700 licenziamenti operativi giusto in queste settimane. La rinegoziazione dell'accordo, tra l'altro bocciata dalla quasi totalità dei lavoratori interessati, è stata inoltre, su ricorso dello Slai Cobas, giudicata illegittima dalla pretura di Milano per attività antisindacale. Per contro, il 3 ottobre 1995, all'Assolombarda, la Fiat ha comunicato a Fiom-Fim-Uilm-Slai Cobas che, entro il 1996, gli organici dello stabilimento di Arese saranno ulteriormente ridotti a 4.000 unità; che cesseranno le produzioni dei modelli "Y" e "164" (prodotta a Rivalta), e la produzione dello spider sarà concentrata in un solo reparto e ridotta dalle 100/200 vetture al giorno ad 80 vetture, col proporzionale taglio degli organici, con la dismissione dei moderni impianti di verniciatura, e lo "svuotamento" dei rimanenti capannoni produttivi relativi all'intera fabbrica; nel dicembre 1995 la Fiat ha comunicato ad una delegazione della regione Lombardia la volontà di non produrre ad Arese l'auto "elettrica" o "ibrida", ma di voler effettuare le sole attività attinenti a progettazione e ricerca, con una ulteriore e conseguente contrazione degli addetti, che diverrebbero così di gran lunga inferiori alle 4.000 unità precedentemente preventivate. Mentre con i "consorzi-fantasma" di reindustrializzazione (alla luce dei fatti incapaci a fornire qualsiasi sbocco occupazionale) si sta attuando in questi mesi, ad avviso degli interpellanti, una vera e propria "truffa nella truffa", attingendo ben 1.500 miliardi dall'Unione europea e spendendone duecento solo per abbassare di qualche metro i tetti dei capannoni; questa manifesta volontà aziendale di chiudere l'attività produttiva di Arese viene inoltre confermata dalle paventate speculazioni sui terreni che si renderanno così disponibili (due milioni di mq a lire 1 milione al mq); in sostanza duemila miliardi per la sola Alfa di Arese a fronte di un pagamento all'Iri per l'intero gruppo Alfa di appena 1.074 miliardi - non ancora completamente versati - comprendenti l'Alfa di Arese e Pomigliano, la Spica di Livorno, lo stabilimento di Balocco, filiali e consociate varie; la regione Lombardia ha già formalmente espresso fondati timori sul totale disimpegno della Fiat ad Arese, che ha già chiuso innumerevoli impianti nella provincia di Milano, mentre il presidente Formigoni, con delibera del consiglio regionale, ne ha informato il Governo; all'Alfa Romeo di Pomigliano dall'ottobre 1990 ad oggi lo stabilimento è interessato da una costante cassa integrazione, sia ordinaria che straordinaria, per contrazioni di mercato, ristrutturazione e crisi aziendale, che comporta il conseguente dimezzamento strutturale della produzione; nel febbraio 1991 sono stati ceduti i due reparti di Casalnuovo e Casandrino alla Sepi Sud, azienda della Gilardini del gruppo Fiat (confezione sedili "33" ed accessori 1/s "33" e "Panda"), inclusi i trecento addetti. Nel 1993 la Sepi Sud licenziava (mobilità-prepensionamenti) 150 lavoratori (altri 50 nel marzo 1994). Nell'ottobre 1994 il gruppo Gilardini veniva assorbito dalla Magneti Marelli (sempre del gruppo Fiat), che cedeva la lavorazione alla Lear Seating Corporation (multinazionale americana dell'indotto col 20 per cento di capitale Ifi-Agnelli); a novembre 1991, in seguito ad accordo sindacale, la Fiat ha posto in cassa integrazione a "zero" ore ottocento lavoratori, motivandolo con l'esaurimento della produzione del modello "Tipo". Gli addetti reali a tale lavorazione erano in realtà 400 e la pretura di Pomigliano, su ricorsi dello Slai Cobas, ha ripetutamente condannato la Fiat perché ha gonfiato gli organici dichiarando illegittima la "cassa"; nel giugno 1992 la Fiat ha ceduto il "polo trasporti", con i 50 autisti, alla Ventana Cargo, del gruppo Arcese (una azienda fantasma creata ad hoc con falsa sede in Mariglianella, come certificato dal specifico verbale redatto dai carabinieri di Castelcisterna) e le relative 50 "bisarche" furono intestate inspiegabilmente alla Bertani Trasporti. Nell'agosto 1993 gli addetti furono di nuovo ceduti ad una neonata società, la Arcese Mercurio srl, che nel marzo 1995 chiuse i battenti licenziando tutto il personale. Analoga sorte è toccata a circa 40 addetti al trasporto materiali e componentistica; nel dicembre 1994 sono stati licenziati 800 lavoratori con mobilità e prepensionamenti per "crisi" di mercato; dal gennaio 1996, ad un anno dalla commercializzazione del modello "145" ed a pochi mesi dal "lancio" della "146", entrambi i modelli hanno cominciato una inspiegabile cassa integrazione che continua tuttora, mentre, per acquistare un'Alfa Romeo, bisogna attendere minimo sei mesi presso le concessionarie per ritirare l'autovettura; inspiegabilmente la Fiat utilizzava per questa "cassa" l'accordo ministeriale del 20 febbraio 1994 quando, all'epoca, le vetture "145" e "146" non erano nemmeno in produzione. Lungimiranza governativa o significativo e macroscopico utilizzo distorto dell'istituto della cassa integrazione?; dal 1° giugno 1996 l'azienda ha ceduto le attività di cablaggio, con i 750 lavoratori interessati, alla Selca srl del gruppo Cablelettra - il cui amministratore delegato è tal Pasquale Dolcetti (ex responsabile Fiat dei cablaggi e prepensionato nell'ottobre 1994), ed alla Cablauto srl del gruppo Cavis. La cessione è stata ratificata in sede ministeriale in data 4 giugno 1996 tra aziende interessate e Fiom-Fim-Uilm-Fismic. La Fiat ha gonfiato i reparti cablaggi inserendovi, nella quasi totalità, sia il personale invalido assunto come categoria protetta in base alla legge 482 del 1968, che altri lavoratori gravemente ammalati per malattie professionali, da lavoro e/o "sociali" (epatopatici, cardiopatici, ischemici, ipertesi, dializzati, diabetici, epilettici, portatori di handicaps motori, eccetera) all'evidente scopo, a parere degli interpellanti, di aggirare la normativa in oggetto commissionando a terzi il prossimo licenziamento di questi lavoratori. La Selca srl ha trasferito le attività di cablaggio in tre capannoni dello stabilimento dell'ex Sevel Campania di Pomigliano, dove già sono in allestimento anche i reparti di produzione della confezione sedili della Lear Corporation-Italia Sud, inficiando l'accordo firmato tra ministero del lavoro, Fiat e Fiom-Fim-Uilm-Fismic in data 20 febbraio 1994 che prevedeva tra l'altro la costituzione di consorzi, nell'area ex Sevel Campania di Pomigliano, per la realizzazione di un impianto per la rottamazione ed il riciclaggio delle auto usate e dei materiali ferrosi: è a dir poco sorprendente l'analogia di questa ennesima operazione "fantasma" con quanto avviene ad Arese per il "consorzio" per l'auto "elettrica"; è in fase conclusiva lo smantellamento delle "meccaniche" (800 addetti), e la cessazione della produzione del motore "boxer" rappresenta la definitiva cancellazione di quanto rimasto della produzione Alfa Romeo; è di questi giorni l'ennesima operazione speculativa (un oscuro "finanziamento/autofinanziamento" dei dirigenti Fiat) con lo smantellamento delle concessionarie e la vendita "sottocosto" dei relativi immobili, intrapresa da G. Garuzzo che ha delegato alla vendita quattro dirigenti Fiat (Epifanio Furnari, Enrico Verri, Arrigo Cesenni, Sergio Terzago) con la compresa possibilità di acquisto personale, sia parziale che totale, "in prima persona": questi ultimi stanno vendendo le concessionarie alla Futura cinque srl, sita in corso Marconi, 20 Torino: il titolare, G. Cruciella, ha a sua volta delegato ancora i quattro dirigenti Fiat in questione (sempre Furnari, Verri, Cesenni, Terzago), a "compiere ogni atto, compreso vendere tutto, in parte o a se stessi". A parere degli interpellanti, la Fiat costruisce ad hoc aziende di "comodo", nella logica delle "scatole cinesi", con i suoi stessi dirigenti che vendono sottocosto il patrimonio aziendale, sia lavorativo che immobiliare, per riacquistarlo sotto falso nome e subappaltare le lavorazioni ed i lavoratori delle concessionarie (a Sanremo le lavorazioni alle Allone e Grignolio spa e gli immobili alla Lega delle Cooperative; a Reggio Calabria alla Autoforniture milanesi spa, per fare alcuni esempi); questa operazione è avviata dalla Fiat nei confronti della quasi totalità delle concessionarie italiane (Sanremo, Reggio Calabria, Alessandria, Ancona, Bolzano, Trieste, Perugia, Pavia, eccetera); nel frattempo, oggi rimangono 13 mila dei 27 mila addetti Alfa Romeo di Pomigliano ed Arese, e sono pronti altri duemila esuberi; alla chiusura di Arese si affianca la mancanza di prospettiva produttiva per lo stabilimento di Pomigliano, anch'esso ridotto dalla Fiat negli organici del 40 per cento; decine e decine di migliaia di miliardi di finanziamenti pubblici incontrollati sono stati "donati" alla Fiat negli ultimi dieci anni e l'azienda ha disatteso tutti i relativi vincoli di tutela occupazionale, sociale e di democrazia sindacale, violando sistematicamente tutti gli impegni sottoscritti in sedi governative e sindacali ed operando nel frattempo decine di migliaia di licenziamenti nelle fabbriche del gruppo, chiusure e dismissioni di impianti. Contemporaneamente alla chiusura dell'Alfa di Arese, allo smantellamento di Pomigliano, procede con il ridimensionamento di Mirafiori e sta preventivando il trasferimento all'estero di buona parte delle lavorazioni (in paesi a basse o nulle garanzie legislative e sindacali). Fruisce costantemente, dal 1990, di una cassa integrazione oggettivamente strutturale ed "abusiva", perché concomitante all'utilizzo selvaggio, massiccio ed incontrollato del lavoro straordinario, del lavoro festivo e notturno, dell'intensificazione dei ritmi di lavoro, e sono ormai decine e decine le sentenze della magistratura di tutta Italia che sistematicamente hanno censurato per antisindacalità, illegittimità ed illegalità le politiche industriali e sindacali del gruppo; la Fiat, con la complicità dei Governi succedutisi in Italia, ha insinuato i suoi tentacoli in tutte le pieghe del potere politico, istituzionale, economico e finanziario, compresi i servizi segreti; il 28 giugno 1996 si è tenuto al Ministero del lavoro un incontro con Fiat, Fim, Fiom, Uilm, Fismic per decidere il prolungamento dello stato di crisi (3^ anno) e del nuovo piano industriale; da quanto ci è dato di sapere la Fiat ha ottenuto contratti di solidarietà per 1.650 lavoratori di Arese, che dovranno "dividersi" 650 posti. La "vecchia" 164 è oggi agli sgoccioli, la "nuova" 164 verrà prodotta a Rivalta, ad Arese si lavorerà una settimana ogni due mesi, con pagamenti al 60 per cento, ed il Governo si è reso indisponibile a coprire il 75 per cento della retribuzione. La Fiat avrebbe sostenuto che sino a giugno 1997 non sono previsti esuberi strutturali. Non c'è stato da parte della Fiat un chiaro impegno produttivo per gli stabilimenti del gruppo Fiat Auto, nonostante l'ipotesi di produzione del nuovo modello della 155 a Pomigliano e l'annuncio entro il 1998 di una nuova vettura a Mirafiori. Scarse sono state le indicazioni fornite sul piano industriale e insoddisfacenti le garanzie occupazionali; Fiat chiede al Governo solo tanta cassa integrazione e il Governo dal canto suo non pretende impegni precisi -: quale sia il motivo della mancata convocazione al ministero del lavoro dello Slai Cobas, sindacato risultato maggioritario nelle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie ad Arese e Pomigliano e presente in tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat; quale utilità economica e sociale abbia portato ai lavoratori ed alla collettività il "regalo" dell'intero gruppo Alfa Romeo alla Fiat (pagato 1.072.050.000.000, dilazionati in cinque rate senza interessi dal 1993 al 1997, praticamente poche centinaia di miliardi in potere di acquisto reale), considerando che, all'epoca, la Ford offrì 3.300 miliardi e la Fiat, pur di entrarne in possesso, sarebbe stata disponibile a pagare fino a 6.000 miliardi (la Repubblica del 25 novembre 1986); quali siano i motivi reali e non simulati per i quali l'Alfa Romeo venne venduta alla Fiat, visto che la sera prima il Presidente pro tempore dell'Iri aveva comunicato ai segretari dei sindacati confederati che l'Alfa Romeo sarebbe stata venduta alla Ford ed invece, all'indomani mattina, si scoprì dai giornali, che era stata "regalata" alla Fiat; quali motivi per i quali rimangano oggi inadempiuti i contenuti dell'accordo recepiti nella delibera Cipi del 7 novembre 1986 e se intenda intervenire per imporre il necessario e non procrastinabile controllo sulla Fiat, a cominciare dal rispetto degli impegni presi dalla Fiat sull'Alfa Romeo e cioè: mantenimento dell'identità aziendale, valorizzazione sul mercato del marchio Alfa Romeo e dei suoi modelli, difesa delle capacità tecniche e progettuali, mantenimento della struttura produttiva basata in particolare sulle potenzialità degli stabilimenti di Arese e Pomigliano, volumi di investimenti adeguati agli impegni assunti in ordine alla migliore tutela dell'occupazione circa il mantenimento dei livelli occupazionali e delle produzioni Alfa Romeo sia ad Arese che a Pomigliano; in caso di reiterata inadempienza da parte della Fiat se intenda intervenire per revocare tutti i finanziamenti pubblici diretti ed indiretti alla Fiat, comprese le agevolazioni fiscali, per denunciarla eventualmente per truffa ai danni dello Stato, requisire gli stabilimenti di Pomigliano ed Arese ed il marchio Alfa Romeo, rimettendoli sul mercato; se sia a conoscenza di "irregolarità" avvenute nella costituzione ad hoc, all'epoca, da parte della Fiat, della società Alfa Lancia - successivamente sciolta - all'unico scopo, a quanto risulta agli interpellanti, di evadere 240 miliardi di tasse, scaricando sui bilanci passivi dell'Alfa Romeo (gonfiati per lo scopo ad arte), gli utili della Lancia; se intenda aprire un'inchiesta per verificare le eventuali irregolarità nel passaggio di proprietà del gruppo Alfa Romeo nel 1986, anche per fornire alla magistratura dati utili al fine dell'accertamento dei reati ipotizzati di corruzione e falso in bilancio; infatti, storie di mazzette e fondi neri oggi stanno venendo alla luce nel processo a Romiti su denuncia dello Slai Cobas che si è costituito parte civile, fondi che sarebbero serviti a foraggiare, oltre che politici, giornalisti e sindacalisti, anche i servizi segreti (Sisde e Sismi), polizia e carabinieri, per spiare e schedare i lavoratori all'interno ed all'esterno delle diciotto fabbriche italiane della Fiat.
Conclusioni: Le pesanti, drammatiche e devastanti conseguenze sociali ed economiche date dalla gravità dei fatti qui presentati, anche tenuto conto dell’elevatissimo importo economico complessivo erogato dallo Stato alla Fiat Auto, paiono imporre la necessità di una puntigliosa inchiesta parlamentare, considerato inoltre che l’art. 41 della Costituzione Italiana disciplina il modello economico prevedendo che l’iniziativa privata è libera ma limitata, nella sua azione, dall’obbligo di non recare danno ai diritti ed alle aspirazioni dei lavoratori e dei cittadini. Nello stesso tempo prevede l’eventualità che l’attività economica “possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Dal citato art. 41 sono quindi derivate e dedotte, inoltre, le normative disciplinanti le erogazioni dei finanziamenti economici pubblici alle imprese private ed i correlati vincoli (e i conseguenti e necessari “programmi e controlli opportuni”) atti a consentire il <ritorno alla collettività> in termini di utilità, valori e fini sociali del corrispettivo economico investito dalla Stato. I fantomatici progetti industriali dispensati nei decenni dalla Fiat ed oggi sintetizzati ed espressi coi piani <alla Marchionne> paiono paventare una sorta di sfascio in atto delle fabbriche Fiat e stanno arrecando un grave ed irreversibile danno economico e sociale non solo ai lavoratori direttamente interessati ma all’insieme di quelli dell’indotto nonché all’intera economia italiana rischiando di precipitare pericolosamente il Paese in una inquietante prospettiva “stile Grecia”. Ciò anche tenendo conto dell’importante ruolo strategico che gioca l’industria dell’auto sia nel settore metalmeccanico che nell’intera economia industriale e complessiva, nonché sociale, e data dalle aziende fornitrici - e di servizio, nonché energetiche e quant’altre - operanti all’interno di ogni settore merceologico e produttivo. Tanto premesso la preoccupante e richiamata destabilizzazione industriale e dei rapporti sociali ed economici in atto pare determinata non solo dalle su esposte e denunciate politiche industriali in “danno sociale” perseguite negli anni della Fiat ma anche dalla collaterale e reiterata violazione ed omissione di controllo ed indirizzo, espressamente disposto dall’art. 41 della Costituzione e dalle collegate normative, da parte delle competenti autorità istituzionali ad ogni livello. L’insieme dei gravi episodi tutti qui esposti, argomentati e denunciati impone, a giudizio della rappresentata organizzazione sindacale, la necessità di avviare idonee procedure per la predisposizione di una commissione parlamentare d’inchiesta sull’intera vicenda Fiat per accertare i fatti ed eventualmente revocare i finanziamenti pubblici diretti, indiretti, indotti ed in ogni forma percepiti ad oggi dalla Fiat ed usati in modo difforme agli scopi dichiarati nonché al recupero risarcitorio dei relativi importi economici; per verificare eventuali irregolarità realizzate nel passaggio di proprietà al gruppo Fiat dell’Alfa Romeo e eventuali violazioni del contratto di cessione e della relativa delibera del CIPI del 7 novembre 1986 (ed atti conseguenti e correlati) e nel caso procedere alla requisizione degli impianti di tali stabilimenti nonché a conseguenti azioni risarcitorie. Slai cobas - coordinamento nazionale - Roma, 27/6/2013 Sindacato dei Lavoratori Autorganizzati Intercategoriale S.L.A.I. cobas Coordinamento Nazionale DOSSIER / FIAT
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