Italia: La Natura secondo De Chirico
Una grande mostra nel centenario della nascita della Metafisica A Roma, non lontano da piazza di Spagna, ultimo suo domicilio terreno, ritorna il fantasma di quel genio, profeta ieri e attuale oggi, della sua antica verità misterica. Giorgio De Chirico (1888-1978) sarà in mostra al Palazzo delle Esposizioni fino all’11 luglio in una rassegna quanto mai originale sul suo apparentemente inesistente rapporto con la natura. Nei “Classici dell’arte Rizzoli” la copertina del catalogo a lui dedicato si adatta bene alla sua complessa personalità.
Si tratta di un autoritratto con la scritta: “Et quid amabo nisi quod enigma est”. Nella stessa collana anche Salvator Rosa viene presentato, ostentando l’immagine di un uomo solenne, che medita sul senso oscuro di parole latine. Come se il nodo spirituale tra i due pittori, poeti e filosofi, a distanza di trecento anni, fosse racchiuso in quella rappresentazione. Per l’artista napoletano nei suoi più significativi dipinti la cupa e maestosa natura verde e rocciosa comprime e riduce l’essere umano, evidenziandone l’impotenza quasi angosciante. Non è la natura gioiosa degli Impressionisti. De Chirico pure nel suo paesaggio urbano annichilisce l’uomo trattato come un oggettucolo, la cui ombra è più consistente della sua realtà. Il “Pictor Optimus” tuttavia sconvolge l’iconografia tradizionale. Per lui la natura è un nuovo ordine nel suo disordine. Il professore Achille Bonito Oliva, curatore della mostra, servendosi di una fervida immaginazione, ha proposto al pubblico una lettura singolare della produzione artistica dechirichiana. Il Palaexpò è stato suddiviso in sette sezioni che si sviluppano intorno alla rotonda centrale, ognuna delle quali presenta un certo numero di opere, che con un po’ di forzatura rientrano nel titolo di apertura. La prima galleria riguarda la “Natura del Mito”. Oltre alla “Lotta dei Centauri”, dipinto giovanile che inaugura la stagione mitica, sono presenti quadri rappresentanti alcune figure dell’antica Grecia, archetipi universali. E’ il risveglio della memoria sull’opera di civilizzazione dei miti. Arianna è il simbolo della malinconia. Abbandonata da Teseo, che salva dal labirinto, sarà risvegliata dopo un lungo sonno dall’amore di Dioniso. La sua statua è centrale in diverse sue tele, che riflettono il tempo di Zarathustra “La stanchezza dell’infinito” (Fig.1). Da poco Nietzsche era deceduto e già il rumore del suo pensiero echeggiava profondamente nell’animo di De Chirico. Per amarlo non ha avuto bisogno della forte risonanza successiva. Si è subito identificato per analogie vissute di luoghi e di date con l’autore del mito del Superuomo, il veggente folle dell’inquietudine moderna. “L’Ulisse”del 1922 (Fig.2) è un autoritratto nei panni dell’eroe omerico, eterno viaggiatore. “I cavalli tessali” (Fig.3) di memoria autobiografica gli ricordano l’antica patria. Qui sulla spiaggia, senza occhi, corrono e giocano in riva al mare, offrendo un’immagine poetica con le lunghe code che spazzolano l’arena. Altrove sono presenti con i Dioscuri, altro mito nel quale l’autore s’identifica con Alberto Savinio, suo fratello e alter ego. In “Natura dell’ombra” ci sono le città ridotte a luoghi geometrici, espressione della moderna urbanistica, rivelatrice di assenze e silenzi. Nella “Piazza d’Italia”(Fig.4) si nota lo sconvolgimento dell’ordine naturale. La dimensione spazio-temporale non è fisica, ma metafisica. Le ombre sembrano solidificate, materiche, a volte più pesanti degli edifici evanescenti. L’ora solare è indefinibile. Il cielo è nero; sembra notte. La sorgente luminosa è invisibile, eppure la proiezione per terra annuncia un’esistenza spesso celata in altri quadri, come se l’ombra fosse più importante in quanto espressione di un invisibile. Tutto si gioca sul risveglio dell’occhio mentale. Il treno è un elemento autobiografico, perché il padre ingegnere va in Grecia per costruire la nuova ferrovia di collegamento con la Tessaglia, ma diventa un oggetto metafisico, in quanto enigma, alla stessa stregua di un casco di banane o del guanto di caucciù, che ispirerà la successiva estetica surrealista. A proposito di entourage di De Chirico è attualmente in corso al Palazzo Strozzi di Firenze e fino al 28 luglio una esposizione su di lui insieme ad Ernst, Magritte, Balthus, dal titolo “Uno sguardo nell’invisibile”. Seguendo il percorso al Palaexpò si visita la “Natura della camera”, intesa come luogo di viaggio dall’interno all’esterno e viceversa. Il senso di spaesamento avvertito dall’uomo moderno riflette l’ordine della natura che convive con il caos. Il mistero di tale legame è l’enigma che l’artista veggente deve risolvere. Come i mobili di casa sono nella valle o in riva al mare, così il paesaggio o il tempio sono all’interno: “La mia camera nel Midi” (Fig.5). In un altro olio su tela, ma molto più tardo come lavoro, De Chirico si vede su di un vascello che solca i mari:”Il ritorno di Ulisse”1968 (Fig.6). E’ la fase della Neometafisica, quella criticata da più parti, perché ripetizione di immagini, appartenenti al momento veramente creativo, quello ferrarese, vedi “Le muse inquietanti”del 1917. Per André Breton Giorgio è il fondatore della mitologia moderna, ma già dopo il 1924 i rapporti con i Surrealisti si guastarono. Lo si accusò di ritorno al “mestiere”, ma forse nemmeno l’incipiente fase cosiddetta del “Museo” fu gradita al gruppo francese. L’idea vincente per De Chirico è stata la rivelazione del mistero dopo la visione di Santa Croce a Firenze, quella che celebra quest’anno il centenario della Metafisica. Il 1917 è l’anno più prolifico per colui che si definì anche: “Pictor classicus sum”, in quanto realizza i suoi tre capolavori, che sono: “Il grande metafisico”, “Ettore e Andromaca” e “Le muse inquietanti”, di quest’ultimo nella mostra è esposta una replica autografa del 1925 (Fig.7). Si tratta di un quadro emblematico, trattato come le quinte di un palcoscenico. Coesistono un edificio rinascimentale, il Palazzo Estense e le ciminiere di un’industria moderna, ma soprattutto fanno la loro comparsa due figure per metà statue e per metà manichini. Nella “Natura delle cose” De Chirico inventa collocazioni assurde spazio-temporali, oggetti riconoscibilissimi, ma assiepati in un contesto strano: biscotti, righe, scatole, colonne. In “Malinconia ermetica” 1919 (Fig.8) la natura saturnina del profeta, senza occhi, si pone tra il passato ed il futuro dell’arte con l’imperativo categorico di guardare al passato, seguendo magari il filo di Arianna, che congiunge l’oggi alla civiltà ellenica. In “Melanconia della partenza”(Fig. 9), proveniente dalla Tate Gallery di Londra, è da rimarcare l’affastellamento degli elementi geometrici, che servono nella nostra logica matematica a spiegare l’ordine e giacciono invece nel caos allo stesso modo della carta geografica con paesi disordinati. Nella sezione “Anti-Natura”, regno incontestabile dei manichini, c’è il logo della mostra: “Le duo” del 1915 dal Moma di New York (Fig.10), prima stilizzazione dell’oggetto umano senza vita, oltre a strane macchine metafisiche, realizzate con assemblaggi ibridi. Le allucinazioni urbane continuano ad assillare la mente di Giorgio in “Natura aperta” come la visione che lo condusse alla realizzazione di quelle impossibili piscine, in cui l’acqua si trasforma in parquet. Sono i “Bagni misteriosi” (Fig.11), dipinti nati dalle illustrazioni del testo mitologico di Jean Cocteau nel 1934, il poliedrico intellettuale francese che lo definì mistero laico e gli fu amico durante la disputa con i Surrealisti. Varianti in mostra sempre sullo stesso tema provengono da Venezia, Verona e Berna. A queste opere si aggiunge “Il poeta sognatore”(Fig. 12), prestato dal Israel museum di Gerusalemme, originale estrinsecazione del pensiero, ove albergano i Bagni misteriosi. Bellissimo è “L’enigma dei grattacieli” del 1960 della collezione Claudio ed Elena Cerasi. E’ una visione notturna con la luna in cielo ed un osservatore di spalle che guarda attonito le mille luci sfavillanti di Manhattan. L’ultima galleria interessa il tema della “Natura viva”. De Chirico in riferimento al termine anglosassone di still life chiama la natura morta: “vita silente”, intendendo l’opera di vivificazione che crea l’artista dall’interno dell’umile oggetto. Il visitatore scopre così la numerosa produzione di quadri che rappresentano strani paesaggi con frutti adagiati per terra, ad esempio, oppure classiche nature morte di pesci, arance, mele e melograni. (Fig.13). Concludono il percorso espositivo opere come “La partenza del cavaliere errante” del 1923 (Fig.14), per il quale, accanto ad altre scene come “Ricordo metafisico delle rocce di Orvieto”, vale la rielaborazione da parte del Nostro di un paesaggio di vaga memoria bockliniana con la presenza spesso di cipressi e statue sui tetti. L’importanza dell’allestimento dechirichiano al Palazzo delle Esposizioni di quest’anno consiste forse nella scoperta del sacro. Perfino un pittore artificiale come De Chirico ha il suo lato naturale. Grazie a lui possiamo ancora interrogarci sul mistero che si cela intorno a noi. Se la mostra su Corot al Vittoriano ci ha fatto vedere che per capire la natura gli artisti dipingevano en plein air, cercando un contatto sensoriale, questa mostra suggerisce l’esistenza di una bellezza attraverso la scoperta del suo segreto. Se la modernità consiste in una nuova visione della natura, continui pure l’indagine dell’arte su di essa con l’auspicio che l’uomo l’ascolti sempre di più. Elvira Brunetti La foto principale è l’Autoritratto fig. 15
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